a cura
di Giuseppe Gendolavigna Matricola 197847-Corso di Laurea Magistrale in
Psicologia Applicata Clinica e della Salute indirizzo Clinico- Dinamico UNIVAQ
Dal punto di vista della Psicoanalisi
Relazionale e' inevitabile che nei rapporti insegnante- studente si eserciti
un’influenza nei due sensi, in modo mutuo/reciproco. La relazione è
inevitabilmente asimmetrica perché il docente è investito di un certo grado di
autorità e responsabilità. Nella relazione diadica la mutualità della
regolazione è sempre in relazione all’autoregolazione/autonomia dei soggetti.
La relazione che si stabilisce fra due individualità è uno spazio per la
co-costruzione mutua di significati. Tali significati, non sono generati
dall’elaborazione razionale , ma si ritiene che ogni interpretazione sia
passibile di continue e infinite nuove interpretazioni da parte del docente e
del discente. Il significato è generato in modo relazionale e dialogico; è
negoziato e co-costruito solo così si arriva al significato grazie alle “menti
che si incontrano”(Aron,1996).
L’empatia come “capacità di
sintonizzarsi cognitivamente ed emotivamente (con la mente e con il cuore) con
gli altri” e con ciò che stanno vivendo, favorisce la conoscenza dell’altro e
la buona qualità della Relazione di Aiuto. Numerose ricerche hanno trovato
proprio nell’empatia uno dei fattori motivazionali più importanti del
comportamento prosociale. Batson (2001), sostiene che c’è uno stretto
collegamento tra empatia e altruismo. Evitare l’empatia porta al disinteresse
per i bisogni degli altri. Esiste un’empatia centrata sull’altro e un’empatia
focalizzata su se stessi. Si richiede uno sviluppo notevole della propria
capacità cognitiva ed un esame accurato di quella persona in difficoltà che
rifiuta l’aiuto, perché lo considera come una minaccia alla propria autostima,
specie quando non è nella possibilità di ricambiare, può vedere l’aiuto come un
segno di inferiorità dentro un rapporto che crea e mantiene dipendenza, da
qualcuno definito “prosociale” o anche comportamento di aiuto.
Due studiosi, Latané e Darley (1976),
descrivono il comportamento di aiuto come un processo che comporta alcuni
passaggi fondamentali: notare una persona, un evento, o una situazione che
possono richiedere aiuto; interpretare il bisogno; assumersi le responsabilità
di agire; decidere la forma di assistenza da offrire e il tipo di implicazione
personale; realizzare l’azione. Uno dei principali fattori di sviluppo della
psicosocialità è l’esperienza di una sicurezza affettiva, la presenza di
modelli positivi (di amore altruistico) con i quali, già da bambini, ci si
possa gradualmente identificare. È anche evidente, tuttavia, che tale
responsabilità non può essere lasciato totalmente nelle mani dell’insegnante
senza che questo sia supportato da un percorso personale, formativo e
psicologico, di un certo tipo, e sostenuto in itinere nei mille dubbi, ansie e
preoccupazioni che insorgono durante il percorso scolastico (Hoffman, 1987).
Il processo di sviluppo
della professionalità docente si configura come un processo di sviluppo
interattivo e critico, come risultante di una complessa azione di specifici
fattori (Piagentini, 2002), come un viaggio nel quale la professionalità
acquista spessore e consistenza attraverso l’azione del soggetto stesso, la
sofferenza delle proprie posizioni e decisioni, attraverso l’elaborazione
progressiva della propria esperienza, attraverso la cura di sé (Jedlowski,1994;
Cambi, 2001). La maturazione dell’identità professionale dell’insegnante si
colloca, dunque, all’interno di un processo di apprendimento e di sviluppo
complesso, inevitabilmente percorso da crisi e comunque legato all’esperienza e
all’agire individuale; un processo nel quale gioca un ruolo importante la
capacità di riflettere sul proprio lavoro, la capacità di rielaborare e
riorganizzare le proprie esperienze con le loro perturbazioni, per maturare
competenze e identità professionale (Schön, 1993; Fabbri, 1999).
Guntrip afferma l’importanza della
relazionalità o meglio “le dinamiche emozionali della crescita del bambino che
sperimenta se stesso come un diventare una persona nelle relazioni
significative, in primo luogo con la madre, quindi con la famiglia e infine con
il sempre più vasto mondo esterno”. In tal senso le relazioni significative
sono quelle che permettono al bambino di scoprire se stesso in quanto persona
attraverso l’esperienza del significato che riveste per le altre persone e del
significato che le altre persone hanno per lui, arricchendo in questo modo la
propria esistenza con quei valori che derivano dalle relazioni umane e che
rendono la vita piena di significato e degna di essere vissuta (Guntrip, 1971).
Ancora una volta è sottolineata la fondamentale preparazione, per gli insegnanti,
che preveda la formazione alla relazione tenendo conto del fatto che il Sé del
bambino continua a formarsi nel corso del tempo e che, come caregiver, deve
essere sufficientemente buono e prevedere l’insuccesso quale incentivo per la
crescita (Winnicott, 2005).
In linea coi teorici, Steele e Fonagy
(1996), si riconosce che il bambino può avere diversi attaccamenti implicando
così la presenza di modelli operativi interni multipli. Per ciò si può
affermare che anche la relazione con l’insegnante dà luogo a modelli differenti
ma importanti di attaccamento: i teorici kleiniani parlano di posizione
riferendosi ad una costellazione di relazioni oggettuali, fantasie, angosce e
difese cui un individuo farà probabilmente ritorno nel corso della vita.
Specifici ambienti possono innescare diverse reazioni oppure un pattern
relazionale sicuro o insicuro. Il bambino può infatti sviluppare relazioni
scure o insicure con differenti caregiver (Steele, Steele, Fonagy, 1996) e la
relazione con l’insegnante può essere senz’altro tra queste. Per questo motivo
possono coesistere diversi modelli operativi interni nella mente del bambino
nel contempo sicuri e insicuri e il modello che diverrà dominante nell’adulto
può dipendere dall’importanza dello specifico caregiver nella vita del bambino.
L’insegnante è
partecipe di un’esperienza condivisa, nella quale l’alunno non è soggetto
neutrale ma parte integrante del contesto interpersonale. “Il concetto di mente
individuale isolata è una finzione teorica o un mito che deifica l’esperienza
soggettiva di diversità individuale ... l’esperienza della diversità richiede
un legame relazionale intersoggettivo che incoraggia e sostiene il processo di
auto-delineazione in tutto il ciclo vitale” (Stolorow e Atwood, 1992). I
docenti sono parte integrante del campo relazionale che include,
contemporaneamente, la soggettività, l’individualità e l’intersoggettività:
l’uomo, infatti, raggiunge la propria individualità e rende la propria
esperienza unica, significativa e personale attraverso la relazione (Mitchell,
2000).
“Tutti gli individui vivono
un’esistenza comune, continua, coi loro ambienti necessari e l’ambiente umano
include relazioni costanti con gli altri”. Ed effettivamente, le interazioni
tra il bambino e il suo ambiente sono capaci di modellare una serie
praticamente infinita di risorse umane potenziali per fare in modo che si
adeguino alla nicchia interpersonale cui quelle risorse finiscono per adattarsi
(Sullivan, 1953). Lo stesso Bowlby ritiene che l’attaccamento intimo ad altri
esseri umani costituisce il perno intorno a cui ruota la vita di una persona,
non solo nell’infanzia, nella pubertà e nell’adolescenza ma anche negli anni
della maturità e poi ancora nella vecchiaia. Tant’è che la visione corretta
della personalità riguarda ciò che fanno le persone l’una con l’altra e con
altri, più o meno personificati. Un insegnante con una formazione alla
relazione sa, quanto alcune interferenze di tipo emotivo-affettivo, possono
influenzare il percorso d’apprendimento e relazioni coi pari e utilizzerà, ove
necessario, le strategie, personali e professionali, utili ad accogliere,
contenere, ascoltare empaticamente e comunicare al fine di creare l’ambiente
(fisico e psicologico) utile al superamento delle difficoltà che la scuola,
inevitabilmente produce, coi suoi nuovi saperi e le sue richieste. Il tutto nel
tentativo di offrire nuove, e più sicure, esperienze di attaccamento positive,
per ristrutturare e correggere i prototipi internalizzati tramite nuove
interazioni con altri adulti significativi e coi pari coinvolti affettivamente.
Si tratta, in ultima analisi, di
offrire quella che Heisenberg chiama “esperienza emozionale correttiva”
attraverso una mente (quella del docente) che, prima di poter agire come
regolatrice e contenitore degli stati affettivi negativi del bambino, ha già
ripristinato il proprio senso di benessere. Il “luogo” dell’apprendimento si
trova ovunque la mente diventi viva (Hillman, 1997). Si tratta altresì, di “far
parlare l’anima dell’uomo stesso, in modo che egli comprenda dall’interno come
stanno le cose per lui” (Jung, 1978). Solo in tal modo può essere possibile
favorire un reale, proficuo e funzionale apprendimento che è realizzabile
grazie alla capacità dell’alunno di riflettere sui propri vissuti interiori e
sulla propria esperienza, supportata dalla relazione sicura col proprio
insegnante-caregiver e con il gruppo classe.