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venerdì 20 luglio 2012

L'Empatia del Caregiver




a cura di Giuseppe Gendolavigna Matricola 197847-Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Applicata Clinica e della Salute indirizzo Clinico- Dinamico UNIVAQ
Dal punto di vista della Psicoanalisi Relazionale e' inevitabile che nei rapporti insegnante- studente si eserciti un’influenza nei due sensi, in modo mutuo/reciproco. La relazione è inevitabilmente asimmetrica perché il docente è investito di un certo grado di autorità e responsabilità. Nella relazione diadica la mutualità della regolazione è sempre in relazione all’autoregolazione/autonomia dei soggetti. La relazione che si stabilisce fra due individualità è uno spazio per la co-costruzione mutua di significati. Tali significati, non sono generati dall’elaborazione razionale , ma si ritiene che ogni interpretazione sia passibile di continue e infinite nuove interpretazioni da parte del docente e del discente. Il significato è generato in modo relazionale e dialogico; è negoziato e co-costruito solo così si arriva al significato grazie alle “menti che si incontrano”(Aron,1996).
L’empatia come “capacità di sintonizzarsi cognitivamente ed emotivamente (con la mente e con il cuore) con gli altri” e con ciò che stanno vivendo, favorisce la conoscenza dell’altro e la buona qualità della Relazione di Aiuto. Numerose ricerche hanno trovato proprio nell’empatia uno dei fattori motivazionali più importanti del comportamento prosociale. Batson (2001), sostiene che c’è uno stretto collegamento tra empatia e altruismo. Evitare l’empatia porta al disinteresse per i bisogni degli altri. Esiste un’empatia centrata sull’altro e un’empatia focalizzata su se stessi. Si richiede uno sviluppo notevole della propria capacità cognitiva ed un esame accurato di quella persona in difficoltà che rifiuta l’aiuto, perché lo considera come una minaccia alla propria autostima, specie quando non è nella possibilità di ricambiare, può vedere l’aiuto come un segno di inferiorità dentro un rapporto che crea e mantiene dipendenza, da qualcuno definito “prosociale” o anche comportamento di aiuto.
Due studiosi, Latané e Darley (1976), descrivono il comportamento di aiuto come un processo che comporta alcuni passaggi fondamentali: notare una persona, un evento, o una situazione che possono richiedere aiuto; interpretare il bisogno; assumersi le responsabilità di agire; decidere la forma di assistenza da offrire e il tipo di implicazione personale; realizzare l’azione. Uno dei principali fattori di sviluppo della psicosocialità è l’esperienza di una sicurezza affettiva, la presenza di modelli positivi (di amore altruistico) con i quali, già da bambini, ci si possa gradualmente identificare. È anche evidente, tuttavia, che tale responsabilità non può essere lasciato totalmente nelle mani dell’insegnante senza che questo sia supportato da un percorso personale, formativo e psicologico, di un certo tipo, e sostenuto in itinere nei mille dubbi, ansie e preoccupazioni che insorgono durante il percorso scolastico (Hoffman, 1987).
Il processo di sviluppo della professionalità docente si configura come un processo di sviluppo interattivo e critico, come risultante di una complessa azione di specifici fattori (Piagentini, 2002), come un viaggio nel quale la professionalità acquista spessore e consistenza attraverso l’azione del soggetto stesso, la sofferenza delle proprie posizioni e decisioni, attraverso l’elaborazione progressiva della propria esperienza, attraverso la cura di sé (Jedlowski,1994; Cambi, 2001). La maturazione dell’identità professionale dell’insegnante si colloca, dunque, all’interno di un processo di apprendimento e di sviluppo complesso, inevitabilmente percorso da crisi e comunque legato all’esperienza e all’agire individuale; un processo nel quale gioca un ruolo importante la capacità di riflettere sul proprio lavoro, la capacità di rielaborare e riorganizzare le proprie esperienze con le loro perturbazioni, per maturare competenze e identità professionale (Schön, 1993; Fabbri, 1999).
Guntrip afferma l’importanza della relazionalità o meglio “le dinamiche emozionali della crescita del bambino che sperimenta se stesso come un diventare una persona nelle relazioni significative, in primo luogo con la madre, quindi con la famiglia e infine con il sempre più vasto mondo esterno”. In tal senso le relazioni significative sono quelle che permettono al bambino di scoprire se stesso in quanto persona attraverso l’esperienza del significato che riveste per le altre persone e del significato che le altre persone hanno per lui, arricchendo in questo modo la propria esistenza con quei valori che derivano dalle relazioni umane e che rendono la vita piena di significato e degna di essere vissuta (Guntrip, 1971). Ancora una volta è sottolineata la fondamentale preparazione, per gli insegnanti, che preveda la formazione alla relazione tenendo conto del fatto che il Sé del bambino continua a formarsi nel corso del tempo e che, come caregiver, deve essere sufficientemente buono e prevedere l’insuccesso quale incentivo per la crescita (Winnicott, 2005).
In linea coi teorici, Steele e Fonagy (1996), si riconosce che il bambino può avere diversi attaccamenti implicando così la presenza di modelli operativi interni multipli. Per ciò si può affermare che anche la relazione con l’insegnante dà luogo a modelli differenti ma importanti di attaccamento: i teorici kleiniani parlano di posizione riferendosi ad una costellazione di relazioni oggettuali, fantasie, angosce e difese cui un individuo farà probabilmente ritorno nel corso della vita. Specifici ambienti possono innescare diverse reazioni oppure un pattern relazionale sicuro o insicuro. Il bambino può infatti sviluppare relazioni scure o insicure con differenti caregiver (Steele, Steele, Fonagy, 1996) e la relazione con l’insegnante può essere senz’altro tra queste. Per questo motivo possono coesistere diversi modelli operativi interni nella mente del bambino nel contempo sicuri e insicuri e il modello che diverrà dominante nell’adulto può dipendere dall’importanza dello specifico caregiver nella vita del bambino.
L’insegnante è partecipe di un’esperienza condivisa, nella quale l’alunno non è soggetto neutrale ma parte integrante del contesto interpersonale. “Il concetto di mente individuale isolata è una finzione teorica o un mito che deifica l’esperienza soggettiva di diversità individuale ... l’esperienza della diversità richiede un legame relazionale intersoggettivo che incoraggia e sostiene il processo di auto-delineazione in tutto il ciclo vitale” (Stolorow e Atwood, 1992). I docenti sono parte integrante del campo relazionale che include, contemporaneamente, la soggettività, l’individualità e l’intersoggettività: l’uomo, infatti, raggiunge la propria individualità e rende la propria esperienza unica, significativa e personale attraverso la relazione (Mitchell, 2000).
“Tutti gli individui vivono un’esistenza comune, continua, coi loro ambienti necessari e l’ambiente umano include relazioni costanti con gli altri”. Ed effettivamente, le interazioni tra il bambino e il suo ambiente sono capaci di modellare una serie praticamente infinita di risorse umane potenziali per fare in modo che si adeguino alla nicchia interpersonale cui quelle risorse finiscono per adattarsi (Sullivan, 1953). Lo stesso Bowlby ritiene che l’attaccamento intimo ad altri esseri umani costituisce il perno intorno a cui ruota la vita di una persona, non solo nell’infanzia, nella pubertà e nell’adolescenza ma anche negli anni della maturità e poi ancora nella vecchiaia. Tant’è che la visione corretta della personalità riguarda ciò che fanno le persone l’una con l’altra e con altri, più o meno personificati. Un insegnante con una formazione alla relazione sa, quanto alcune interferenze di tipo emotivo-affettivo, possono influenzare il percorso d’apprendimento e relazioni coi pari e utilizzerà, ove necessario, le strategie, personali e professionali, utili ad accogliere, contenere, ascoltare empaticamente e comunicare al fine di creare l’ambiente (fisico e psicologico) utile al superamento delle difficoltà che la scuola, inevitabilmente produce, coi suoi nuovi saperi e le sue richieste. Il tutto nel tentativo di offrire nuove, e più sicure, esperienze di attaccamento positive, per ristrutturare e correggere i prototipi internalizzati tramite nuove interazioni con altri adulti significativi e coi pari coinvolti affettivamente.
Si tratta, in ultima analisi, di offrire quella che Heisenberg chiama “esperienza emozionale correttiva” attraverso una mente (quella del docente) che, prima di poter agire come regolatrice e contenitore degli stati affettivi negativi del bambino, ha già ripristinato il proprio senso di benessere. Il “luogo” dell’apprendimento si trova ovunque la mente diventi viva (Hillman, 1997). Si tratta altresì, di “far parlare l’anima dell’uomo stesso, in modo che egli comprenda dall’interno come stanno le cose per lui” (Jung, 1978). Solo in tal modo può essere possibile favorire un reale, proficuo e funzionale apprendimento che è realizzabile grazie alla capacità dell’alunno di riflettere sui propri vissuti interiori e sulla propria esperienza, supportata dalla relazione sicura col proprio insegnante-caregiver e con il gruppo classe.